Mobilitazione Meridionale a Taranto il Primo Maggio

In un paese come l’Italia dove il lavoro manca, la disoccupazione giovanile raggiunge livelli esasperanti, il lavoro, quando esiste, è malpagato, senza sicurezza, in nero, discriminante e senza prospettive, che senso ha festeggiare il 1° Maggio?

Il 1° Maggio è diventata da tempo una giornata di denuncia e confronto incentrata sulla crisi del lavoro che coinvolge tutta la nazione a fronte di nuove forme di schiavitù e di ricatti contrattuali. Si parla di quello stesso lavoro che ha cambiato forme e dimensioni al solo fine di reggere quello stesso sistema che continua a sfruttare e stuprare i territori, disseminando veleni che provocano danni irreversibili alla salute e all’ambiente, ad eliminare ogni diritto, già al quanto inesistenti, dei lavoratori e dei non lavoratori, facendo leva sul ricatto occupazionale.  Precarietà diffusa, devastazione sociale, colonizzazione industriale e militare sono i risultati delle politiche dei governi supini ai diktat del “libero mercato”.

 

La pseudo-crisi finanziaria creata ad arte dal sistema liberista ha aumentato in maniera vertiginosa la forbice della povertà ingigantendone il dislivello.Tutti i diritti conquistati dalle lotte della classe operaia dall’Ottocento fino ad oggi appaiono seppelliti dagli interessi legati alla produzione a tutti i costi: la cancellazione dell’artico 18 infatti, prevede, sempre da parte della classe sfruttatrice, libertà di licenziamento senza giusta causa, “flessibilità” sul lavoro che altro non è che la regolamentazione del precariato, e la giungla dei contratti collettivi nazionali (circa 50 tipologie che normano lo sfruttamento del lavoratore e della lavoratrice).  Sebbene il lavoro salariato legato alle rivoluzioni industriali fosse comunque funzionale alla crescita dei grandi magnati, ad oggi si assiste a forme lavorative che sempre più accentuano il divario fra classi: lo sfruttamento rappresentato del lavoro salariato, non più legato al sistema fordista della catena di montaggio, oggi assume sempre più la forma  di  una  piovra  cui gli innumerevoli  tentacoli diventano la rappresentazione di tante forme di impoverimento; dove; ad esempio a parità di condizioni e di livello professionale si registra una disparità  della  tutela  e  del  trattamento  economico tra chi viene “assunto”  oggi  e  chi  ha  rapporti  regolati  da vecchie forme contrattuali.
Nelle forme di sfruttamento sul lavoro sono costanti le disparità di genere, gap che ancora oggi colpisce la donna, a livello globale, in termini di salario, di qualificazione, di tempo lavorato, di settore di impegno, di assegnazioni prioritarie all’una o all’altra sfera lavorativa.
Inoltre sulla donna ricade “l’altro lavoro”, quello non riconosciuto: l’impegno domestico utile a soddisfare i bisogni primari dei membri della famiglia e la cura quotidiana degli stessi; ed in più essa viene discriminata anche in base alle sue scelte di vita : la maternità, ad esempio, viene vista come un intralcio all’ efficienza produttiva. Ogni ambito della nostra vita viene quindi commisurato in termini di produzione per il capitale da quando nasciamo fino alla nostra morte.In questo senso all’istituzione scolastica è delegato il compito di
instaurare nella società una deplorevole classificazione tra chi rappresenterà la classe dirigente di domani e chi i precari del futuro.La Buona Scuola, riforma del governo Renzi, esalta questa suddivisione tra le categorie attraverso l’alternanza scuola-lavoro che prevede per il triennio 400 ore negli istituti tecnici e professionali e 200 ore nei licei in enti privati o pubblici.Questo “modello di apprendimento” è un palese mezzo di incremento erafforzamento delle disuguaglianze sociali all’interno dei luoghi dei saperi e di produzione di sfruttamento e manovalanza gratuita.
L’alternanza scuola-lavoro educa studentesse e studenti al precariato, ponendosi l’obiettivo di mercificare ed economizzare la cultura. Infatti, fino ad oggi, ha solo incrementato gli interessi delle aziende, danneggiando e smantellando del tutto il diritto allo studio.
I concetti di “formazione”, “creatività” ed “auto-determinazione dell’individuo” non possono co-esistere in questa pratica capitalista che, oltre allo sradicare la voglia di studiare e di emanciparsi dalle ragazze e dai ragazzi, continua a rimarcare il sistema gerarchico “capo-dipendente”.
Molteplici sono stati i casi di alternanza scuola-lavoro, dall’approvazione
della legge 107 ad oggi, in cui studentesse e studenti sono stat* costrett* a lavorare per ore gratuitamente, senza diritti e tutele, senza una vera e propria “espansione” culturale.
È paradossale, tra l’altro, che davvero qualsiasi azienda, multinazionale, industria o ente privato possa “comprare” una scuola. Alcuni dei casi
più scandalosi sono proprio quelli degli Istituti tecnici  “Righi” e “Pacinotti”

di Taranto, dove alcune classi svolgono un percorso di alternanza in ILVA, l’industria siderurgica che da 60 anni ad oggi ha ucciso migliaia di tarantini e continuerà per un tempo ancora indeterminato.

In questa logica il Sud resta ancora relegato a modelli di sviluppo del ‘900; i potentati economici continuano nei nostri territori devastati e depauperati da decenni di sfruttamento a gettarsi come avvoltoi su delle carogne da spolpare fino all’osso. La prassi è sempre la medesima: grandi opere presentate in pompa magna con le più rosee prospettive occupazionali che invece si rivelano occasioni di profitto per pochi già durante l’ultimazione ed in più risultano essere tragicamente impattanti a livello ambientale. L’ultimo attacco violento è rappresentato dal gasdotto TAP nel Salento dove l’opera, che ha già portato danni ambientali prima ancora di essere installata, verrà imposta nonostante una buona fetta di popolazione e di enti locali si siano espressi con forza in maniera negativa. L’acciaio tarantino, ilcarbone di Brindisi, il petrolio in Lucania, il MUOS a Niscemi e lo stesso TAP sono alcuni esempi di “siti di interesse nazionale” finalizzati” al sostegno delle guerre imperialiste nei “sud del mondo” che hanno contraddistinto le politiche guerrafondaie della NATO negli ultimi decenni, della quale il meridione resta l’avamposto militare sul Mediterraneo.

Su queste tematiche facciamo appello, alle realtà territoriali, allerealtà regionali, ed interregionali, al fine di costruire una giornatadi lotta .

PER UN PRIMO MAGGIO DELLE LOTTE
PER UN PRIMO MAGGIO DI RISCATTO
PER UN PRIMO MAGGIO DI LIBERAZIONE

Appuntamento in Piazza Castello ore 9.30